mercoledì 24 dicembre 2025

Un treno della neve.


 C’è un bosco, da qualche parte, dove il tempo rallenta.
La neve scende piano, senza fretta, come se sapesse che non c’è nulla da dimostrare. Ogni fiocco trova il suo posto, si posa sui rami, sui binari, sulla terra che riposa sotto il silenzio dell’inverno.
La luna osserva dall’alto, discreta. La Via Lattea sembra una carezza luminosa nel cielo scuro. È una notte che non chiede rumore, ma presenza.
Tra gli alberi, gli animali aspettano. Un’orsa stringe a sé il suo cucciolo, una lince osserva con occhi antichi, un daino si muove leggero, uno scoiattolo si ferma sul tronco di un albero. Tutti sanno che qualcosa sta arrivando. Non c’è agitazione, solo fiducia.
E poi, in lontananza, si sente il treno.
Non corre. Non fischia forte. Avanza lentamente sui binari innevati, carico di doni che non sono solo pacchetti da scartare, ma tempo, cura, possibilità nuove. Porta con sé ciò che serve davvero: calore, ascolto, semplicità.
Questo treno non arriva per cambiare tutto in una notte. Arriva per ricordarci che possiamo fermarci. Che possiamo aspettare. Che possiamo lasciare andare il superfluo e tenere solo ciò che scalda.
Quest’anno il mio augurio è questo:
che possiate trovare anche voi il vostro bosco silenzioso,
un luogo — dentro o fuori — dove respirare senza fretta,
dove non serve apparire, spiegare, correre.
Che il vostro Natale sia fatto di cose semplici, vere, gentili.
E che il nuovo anno arrivi come questo treno:
con passo lento, con rispetto, con la promessa di un viaggio che vale la pena vivere.

Buon Natale
e un anno nuovo lieve, a tutti voi 🤍

sabato 20 dicembre 2025

Anghiele e Clochilde


 Ci sono lavori che non nascono da un’idea, ma da uno stato d’animo.

Non arrivano all’improvviso: si formano lentamente, come un pensiero che torna, come una domanda che resta in silenzio per giorni, finché un filo non decide di farsi strada sulla tela.

Anghiele e Clochilde sono nate così.

Due silhouette nere, ricamate con un solo filo, senza sfumature, senza concessioni. Solo il necessario. Il resto è spazio, respiro, attesa. Le ho volute essenziali, perché in certi momenti della vita l’essenziale è l’unica cosa che resta quando tutto il superfluo cade.

Mentre ricamavo, punto dopo punto, sentivo che non stavo semplicemente disegnando due figure femminili. Stavo attraversando un passaggio. Ogni crocetta era un gesto di ascolto, ogni vuoto lasciato intatto era una scelta consapevole. Non riempire tutto. Non spiegare tutto. Non trattenere.

Anghiele ha una postura raccolta, quasi timida. Porta con sé l’introspezione, il tempo del silenzio, il bisogno di guardarsi dentro senza fretta. È la parte di me che ha imparato a stare, a non rincorrere, a non chiedere. Quella che osserva e lascia andare.

Clochilde, invece, è più decisa. Il profilo è netto, il capo alto, lo sguardo rivolto avanti. In lei c’è la trasformazione, la consapevolezza che arriva dopo il caos. È la parte che ha attraversato l’emozione senza esserne travolta. Che ha capito che sentire non significa perdersi.

Le ho incorniciate in modo non convenzionale. Niente cornici rigide, niente legno. Ho scelto un nastro di seta, avvolto con cura, come si fa con qualcosa di prezioso ma vivo. La seta non imprigiona, accompagna. Il fiocco non chiude: suggella.

Attorno a loro, perle, nastri, luce morbida. Come se il tempo si fosse fermato un istante per permettere a queste due figure di raccontarsi. Di raccontarmi.

Questi ricami parlano del mio percorso emotivo, delle mie eccitazioni silenziose, delle mie cadute interiori e della lenta ricostruzione. Parlano del lasciare andare il controllo, del non dover più spiegare chi sono, del tornare a me stessa con gentilezza.

Non sono solo due lavori finiti.

Sono due tappe.

Due presenze.

Due modi di essere donna nello stesso tempo.

E forse è proprio questo il ricamo più importante che ho fatto: imparare a stare nella mia forma, senza doverla giustificare.






mercoledì 17 dicembre 2025

Un nodo, poi un altro: appunti di macramè

Ci sono lavori che non nascono da un progetto preciso, ma da un bisogno silenzioso. Questo centro tavola in macramè è nato così, senza fretta, quasi senza pensarci. Un filo dopo l’altro, tra le mani, mentre la casa era calma e il tempo sembrava rallentare.

Il macramè ha qualcosa di profondamente antico: non chiede velocità, non ammette distrazioni. Ogni nodo è una scelta, ogni intreccio è un piccolo atto di presenza. Devi esserci, davvero. Con la testa, con le mani, con il respiro.

L’ho cucito in uno di quei momenti in cui sentivo il bisogno di semplicità. Di cose vere. Di materia naturale. Il cotone grezzo, il colore neutro, le linee geometriche che si ripetono con una dolcezza quasi ipnotica. Non c’è nulla di urlato, nulla che voglia attirare l’attenzione. Eppure, una volta posato sul tavolo, questo centro tavola racconta. Racconta di pazienza, di cura, di un tempo lento che oggi sembra quasi un lusso.

Intorno, i libri, il legno, i gomitoli di corda raccolti in una ciotola. Tutto parla la stessa lingua: quella delle cose fatte con amore, senza l’ansia di dover dimostrare qualcosa. È un lavoro imperfetto, come lo sono tutte le cose vive. E proprio per questo è autentico.

Mi piace pensare che questo centro tavola non sia solo un oggetto, ma una traccia. Il segno di un momento in cui ho scelto di fermarmi, di intrecciare fili invece di pensieri, di creare ordine fuori mentre dentro imparavo a lasciare andare.

Forse è questo, alla fine, il vero senso del fare a mano: non decorare una casa, ma abitare il proprio tempo con più gentilezza.